Finalmente, alle ventidue, il grande funerale si mosse dal Carmine. Lo apriva il clero e
ogni prete aveva in mano una torcia accesa. Era "preceduto innanzi da cento figliuoli di quelli che si allevano nella Chiesa di S. Maria di Loreto con la loro croce, e poi le altre croci con il clero a due
a due in lunghissimo ordine distinto". La bara scoperchiata era tutta fasciata "da una coltre nuova di damasco bianco, e nei quattro capi di quella erano trapunte corone lavorate di seta con quattro
palme, sopra la quale giva il corpo del morto avvolto nel lenzuolo, tenendo scoverte le mani ed il volto". L'apoteosi funebre presentava il generalissimo al vertice delle sue dignità. "Gli avevano
posto a' lati il bastone di generale, e una spada ignuda con la mano appoggiata sopra l'elsa". Particolare di apparato: "Con due banderuole di zendado bianco e con le stesse palme e corone gli givano
cacciando le mosche, come si usa nei mortorii delle persone grandi". Il generalissimo era portato a spalla dai "capitani da guerra creati da lui", mentre i capitani "civili" di rango
superiore si limitavano a reggere i lembi della trapunta. Seguivano i soldati, le compagnie, i drappelli: prima quelli personali di Masaniello, poi i militi "realisti". Altro particolare di fortissimo
colore: "Le compagnie dei suoi soldati [avanzavano] trascinando le bandiere per terra, con le armi al rovescio, e i tamburi scordati". Ma era la folla di gente comune che costituiva il grosso
dell'accompagnamento. Migliaia e migliaia di persone, uomini e donne di ogni età, recavano fiori e lumi, "altri cantando a bassa voce le litanie, e altri recitando il rosario, conforme in Napoli si
accostuma". Un bando della giunta popolare ordinava che ogni famiglia dovesse esporre tappeti, coperte, lumi alle finestre, "acciò splendendo la notte come se fosse stato giorno, si potesse la pompa
del mortorio da tutti comodamente vedere". Sullo straordinario evento il cronista di palazzo ci fornisce cifre e confronti. "Vi erano - annotò - più di 200 torce tra Preti et Orfanelli, e da più di
6000 persone che seguitavano appresso dicendo il Rosario e Litanie, nelle quali aggiungevano Sancte Mas 'anelle, Ora prò nobis.Passarono queste esequie avanti Palazzo e tutte le Chiese suonarono a requie
e le case di chi si sia, per dove passava, cacciavano lumi, havendo [lo stesso] Principe di Cellammare, tra gli altri, fatto mettere due torcie per ogni finestra del suo palazzo. Alla piazza del Cannine... le
fecero la fumata di tutte le bocche di fuoco. Insomma ebbe più dimostrationi assai che non ne hebbe nelle sue esequie l'anno passato [Carlo Andrea Caracciolo], Marchese di Torrecuso". Il tragitto in
realtà fu lungo e dettagliato, poiché era stato stabilito che Masaniello morto passasse "per tutt'i seggi della Città" e relativi quartieri, dove le compagnie schierate "abbattevano alla sua
bara le insegne" e dove si rinnovavano i pianti commossi delle madri e delle spose, le apostrofi dei lazzari e scugnizzi locali, e quelle piogge di petali che avevano tappezzato le strade di Napoli.
«Masanié, facci 'nu segno, Masanié!»; «Masanié, dacci 'na bona sciorta, Masanié!» gli si rivolgeva la marmaglia scamiciata e scalcagnata. «Cu rispetto! Con creanza e devozione!» raccomandavano le
fraterie, assumendo l'aria severa di circostanza. «Masanié, facci la grazia! - gridavano sguaiate le femmine dal limitare dei bassi. - Mantienici, tu e la mamma del Carmine, grascia, quiete e salute!» E le
ultime parole erano dette con suoni gutturali di commozione e scrosci di pianto che ammantavano subito di lutto le invocazioni. La processione funebre si era trasformata in una fiumana di luci. Toccò Capuana,
con l'imponenza che sembra riconoscersi nel vivace quadro di un pittore del tempo, toccò Montagna, Nido, Porto, Portanova, insomma tutti i "sedili" dove stava annidata la nobiltà partenopea vecchia e
recente. Avanzò maestosa negli spazi più ariosi di Napoli, a Largo di Palazzo, a Piazza Castello sotto i sinistri torrioni angioini illuminati dai falò, tornò per la marina fino al Carmine. L'anima di Napoli
era sazia di orgoglio, gli stranieri occupanti assistevano stupefatti, i vecchi patrizi si facevano le croci, non capivano dove la tragica apoteosi popolare andasse a finire. "La magnificenza dell'esequie - annotava con la sua penna d'oca il diarista nobile -quando non da altro, si può conoscere
dalla lunghezza del tempo che durò; perché essendo uscita dalla Chiesa del Carmelo alle ventidue ore del giorno, vi tornò alle tre della notte, ove dopo avergli cantate le ordinarie preci, gli diedero
sepoltura vicino la porta di essa".
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