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Il “Dopo” Masaniello
da “Masaniello” di Bartolomeo Capasso                                           

 

  Domenico Gargiulo, La rivoluzione di Masaniello, part., Napoli, Museo Nazionale di San 
  Martino. - Micco Spadaro, Il mercato di Napoli durante la rivoluzione

Ucciso Masaniello, il Duca d'Arcos credette che la rivoluzione con lui fosse ormai spenta. Egli, ordinata una gran cavalcata, a cui intervennero i cavalieri e gli uffiziali o ministri principali dei regii tribunali, col cardinale arcivescovo e con buona guardia di fanteria e cavalleria ben armata, andò al Duomo per render grazie a Dio ed al glorioso S. Gennaro, patrono principale della nostra città, per la quiete ornai ottenuta, e girò lieto e contento pel Mercato e per le altre vie della città. Nello stesso tempo ordinò che si facesse l'inventario delle robe conservate tanto nella casa di Masaniello quanto nei magazzini del Mercato, del che fu dato incarico all'Eletto del popolo. Secondochè asserisce il buon prete Pollio, il quale accompagnava il compare in questa occasione, lo Arpaia chiamò per suo segretario Vito Antonio Cesarano, onde scrivere minutamente tutto ciò che ivi si fosse rinvenuto; e nel far l'inventario, molti dissero che gli uccisori di Masaniello, in quella notte che seguì la morte di lui, si avessero pigliato gran quantità di oro ed argento ed un baule di monete, trasportando il tutto per gli astrici della casa. Poco dopo due bandi, uno dei 17 e l'altro de' 21 luglio, alle preghiere dello stesso Eletto e per far cosa grata al fedelissimo popolo, estendevano l'amnistia accordata pei fatti del 7 luglio in poi anche al fratello ed al cognato di Masaniello, che ne erano stati prima col bando dei 16 di quel mese eccettuati. Se non che Giovanni fu dato, come suoi dirsi, in consegna a Marco di Lorenzo macellaio, che cogli onesti guadagni del suo mestiere, si aveva procurato grandi e straordinarie ricchezze, tuttora tradizionali nella memoria del popolo perché lo guardasse in sua casa, trattandolo nel miglior modo che fosse possibile. D'altra parte la moglie, la madre e la sorella di Masaniello cacciate dal Castel Nuovo, furono consegnate al Genoino, che era stato creato presidente della Regia Camera della Sommaria, e furono condotte alla casa di costui a S. Agnello dei Grassi ove per alcune settimane furono con conveniente assegnamento mantenute. Ma il fuoco era coverto di cenere e non tardò guari a divampar nuovamente, ed in modo anche più terribile e funesto di prima. I tumulti dei mercati e dei tessitori di seta, degli studenti forestieri, dei pezzenti, e perfin delle donne contro il governo del Banco della Pietà o Monte dei Pegni, ciascuno per la revindica dei proprii diritti perduti, o per l'abolizione di qualche abuso introdotto, manifestavano gli animi sempre torbidi ed inquieti del popolo, e facevano agevolmente prognosticare altre più gravi ed aperte ribellioni. II viceré dal canto suo non negava cosa alcuna. Dissimulando, accordava e prometteva tutto, ben risoluto, quando che fosse, a non attender nulla. In questo stato di cose non mancava che un'occasione qualunque, la quale soffiasse nella brace ad eccitar l'incendio, e desse ai tumultuanti un novello capo. Questa occasione presto si offerse. Per la imprudenza ed ambizione del presidente Cennamo ai 21 agosto una seconda generale sollevazione del popolo scoppiò nella piazza della Sellaria, e, sebbene per poco, fece nuovamente comparire nella storia della rivoluzione del 1647 la famiglia di Masaniello.

continua...