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La Città di Masaniello
da “Masaniello” di Giuseppe Campolieti                                           

 

 Diego Velàsquez, Ritratto equestre del Conte Duca di Olivares, Madrid, Museo del Prado.
 Michelangelo Cerquozzi, La rivolta di Masaniello, part., Roma Galleria Spada.
 Giulio Genoino, ms. Molini.

C'era una volta una città bella, ricca e felice, si potrebbe dire.[...] Napoli, che presto sarà "la Città di Masaniello", si presentava al forestiero come un luogo di sogno: sia che arrivasse dal mare, a bordo delle galee che a vele spiegate e fruscianti bordeggiavano le superbe isole per poi immettersi nelle ampie braccia del golfo; sia che giungesse in carrozza, a cavallo, a piedi, attraverso i dolci colli chiomati di pini e, d'improvviso, gettasse lo sguardo ammirato nel grande specchio azzurro fin sotto le falde del Vesuvio, a doppio cono, sempre col pennacchio in contatto con le nuvole. Certo, Napoli non era più la cittadina-mercato del tempo di Andreuccio da Perugia, di cui narra simpaticamente il Boccaccio, né la nitida, quasi marmorea Napoli della Tavola Strozzi, tutta contornata di "boschi e vaghi uccelli e dolci nidi", per stare alle arcadiche visioni del Sannazzaro: la capitale del reame era cresciuta enormemente, si era popolata come poche altre metropoli del mondo occidentale, ma da un tale sovraffollamento pare traesse anche indiscutibili vantaggi. Napoli era innanzitutto la terra della nobiltà. Ormai i grandi feudatari vi si erano ritirati da tempo, pacificati col potere regio, da questo favoriti nelle loro pretese. Essi abitavano in un loro rione, ove sorgevano i magni palacj degli Acquaviva d'Aragona, dei d'Avalos principi di Montesarchio, dei Sanseverino, dei Bisignano, dei Del Vasto, dei Guevara, dei Carafa duchi di Maddaloni. Queste magnifiche costruzioni, venute su in due secoli tra il Quattrocento e il Seicento, si allineavano sulla "più diritta e longa strada" detta "la strada di Capuana". Erano gran signori i proprietari, che sfoggiavano lusso e sfarzo e, per la verità, per nulla attratti dalle arti e dai mercati e dalla stessa vita politica cittadina (come invece succedeva alle classi aristocratiche del Nord e di altre città italiane, da Firenze a Venezia a Genova), trascorrevano il loro tempo in ozio o in duelli ed esercizi d'arme. Lo sport dell'epoca consisteva nel gareggiare in abilità e soperchierie. Gli stuoli di servitori e birri, arroganti quanto e più dei loro padroni, provvedevano a fare da schermo tra loro e il mondo umano circostante. Mentre i feudatari si abbandonavano a fastosi, pantagruelici banchetti, le loro terre rimanevano nelle mani di avvocati e agenti, espertissimi nelle angarie di origine feudale, nei pesi e nei prelievi da caricare annualmente sulle popolazioni soggette, e implacabili nell'esigere il dovuto. Ma come negare le bellezza, la grandiosità delle dimore signorili napoletane? Se è vero che questi gioielli di architettura e ingegneria si allineavano secondo antiche direttrici, cioè sulle cosiddette decumane che correvano parallele nel corpo dell'abitato dal tempo greco-romano, è altrettanto vero che erano venuti su con una propria "personalità", avevano mutuato forme e idee dai maestri lombardi e toscani per poi miscelarle al trionfo barocco spagnolo, gigantesco nelle proporzioni, ridondante ma in fin dei conti trionfale negli spettacolari "portoni", l'uno più bello e più audace dell' altro. [... ] All'uso spagnolo col gusto del patio e della frescura, queste magioni napoletane si aprivano dopo l'androne a vedute di verde e di cielo, tra cascate profumatissime di gelsomini, rosseggiare di arance mature, cornucopie di nespole e di limoni ipertrofici, lussureggiare di agavi e piante grasse portate dall'Africa, il tutto nel contesto costruito di esedre, ninfe, fontanine, balaustre di marmo o di più economico tufo domestico. L'apparato decorativo della Napoli seicentesca attinge importanza e dignità anche nella storia. [...] Nei feudi del reame più prossimi alla capitale vi erano allevamenti di razze equine, curati dagli stessi baroni e cavalieri, poiché le razze pregiate davano maggior lustro alle casate baronali. [...] E le ricchezze della città, cumulate dai mercanti e dai banchieri forànei? Ingentissime! Da dove provengono i forestieri della metropoli, chi sono? Eccone un elenco: spagnoli, catalani, genovesi, fiorentini, lucchesi, lombardi, tedeschi, greci, gaetani, aierolani, cataresi e massesi. Sono organizzati in comunità, quasi sempre per ragioni di industria e commercio e arti varie. La mappa di arti e mestieri che operano nel Seicento a Napoli è variata e imponente, forse troppo affollata, ma conviene ugualmente visitarla. Lavorano nel dolce clima partenopeo: uomini dell'arte della seta, tessitori di lino, sartori, gipponari, calzaioli, ricamatori, calzolari, coirari, sellari, rivenditori, tavernieri, barbieri, spedali, panettieri, boccieri, tripaioli, pescivondoli, pescatori, magazenieri di vino, bottegari, vermicellari, pollieri, ortolani, candelari, barcaiuoli, falegnami, ferrari, pittori, sonatori, bombardieri, pozzati, chiavicari, bini. Nelle piazze dove il sole picchia e dardeggia, nei budelli grommosi dei vichi dove il sole non entra mai, lo sterminato soukmediterraneo di Napoli macina giorno e notte, inverno ed estate, senza tregua, senza requie, proprio come una gran macchina, un organismo pulsante a tempo pieno. Conviene alzare lo sguardo, a questo punto. Sul profilo di Napoli si staglia Castelnuovo, con le sue torri merlate, i bastioni, la muraglia possente, la torre detta "de oro". Fu costruito per ordine di Carlo d'Angiò, abbellito da re Alfonso e dal Gran Capitano, e tanto è esteso di superficie e articolato di locali e spazi, sale e sotterranei "che rassembra appunto una città". Napoli però è venuta via via rafforzando le sue strutture difensive, si è cinta di nuove mura, castelli, torri e baluardi "che l'hanno resa poco meno che inespugnabile". E poi il porto.  Che dire del porto? Dai napoletani è chiamato familiarmente "Molo" ed è il tallone duro della città verso il mare, è comunque il seno ospitale dove "infinite" galee, galeoni, navi e altri vascelli grandi e piccoli vi trovano tanto spazio che quasi vi si sperdono. Come si fa a parlare dello splendore e delle ricchezze di Napoli, senza nominare la "ricchezza delle ricchezze", la bandiera gloriosa dello spirito e dell'arte di questa città? Parliamo delle chiese. [...] Napoli aveva, tra monasteri, conventi e case di ricovero, duecentotrentacinque luoghi sacri di tal genere, con un vero esercito di religiosi. L'arcivescovado, con duecento preti e seminaristi, stava al centro di un sistema di parrocchie metropolitane che movimentavano altre centinaia e centinaia di ecclesiastici, a quattro parrocchie principali corrispondevano ben 36 parrocchie minori. [...] Una città con tante e splendide chiese era una città ricca di santi. Agli albori del Seicento Napoli godeva di una posizione privilegiata, in quanto a protezione celeste, poiché disponeva di sette "patroni" ufficiali: il potente San Gennaro vescovo e martire, primus interpares; quindi Sant'Aspreno, Sant'Agnello, Sant'Agrippino, San Severo, Sant'Attanasio e Sant'Eusebio.

continua...