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Masaniello nella Storia e nel Mito
da Aurelio Musi, Protagonisti nella storia di Napoli                                          

 

 

Thomaso Aniello d’Amalfi populi neapolitani rebellis dux, 1680 ca., Napoli, coll. privata
Filippo IV d’Austria re di Spagna, ms. Molini

Occorrerebbe gettare ulteriore luce su questo episodio, fondamentale per capire meglio sia il "privato", per così dire, del personaggio, sia la costruzione della rete dei suoi rapporti e delle amicizie che avranno un ruolo determinante nei dieci giorni dei primi moti. Nel carcere Masaniello conosce e frequenta Marco Vitale, un giovane borghese, figlio bastardo dell'avvocato Matteo: Marco Vitale sarà il segretario del capopopolo. Alcuni documenti definiscono il Vitale "sodomita pubblico": ma quanto sono attendibili? La stessa accusa di sodomia e il marchio d'infamia dell'omosessualità perseguiteranno Masaniello post mortem [...] .

Quanto alle attività di Tommaso Aniello, tutte le narrazioni concordano su un altro elemento di instabilità del personaggio: l'esercitare cioè l'arte dell'arrangiarsi e occupazioni non strutturate, al di fuori cioè di quella mappa variegata, ma minutamente organizzata, di arti e mestieri svolti in una città come Napoli, che proprio da quella ricchissima e multiforme organizzazione traeva la sua fisionomia prevalente e caratterizzante [...]. Nel 1647 Masaniello ha 27 anni. È cresciuto durante uno dei periodi forse più critici e difficili della storia del Mezzogiorno. Sullo sfondo Europeo una guerra di vastissime proporzioni: la guerra dei Trent'anni, il primo conflitto mondiale della storia. Ma, a partire soprattutto dall'ultima sua fase, quella caratterizzata dal conflitto diretto tra Francia e Spagna (1635-1648), quante risorse in uomini, mezzi e aiuti finanziari sono state trasferite dal Mezzogiorno verso i tanti teatri di guerra in cui era impegnata la Spagna: la Catalogna in rivolta, il Portogallo in secessione, le Fiandre, il Milanese. Il periodo compreso tra il 1636 e il 1647 è anche la fase di maggiore pressione fiscale sul Regno di Napoli e di più acuta crisi agraria. La nuova gabella sulla frutta, imposta dal viceré duca d'Arcos il 3 gennaio 1647, è solo l'ultimo atto di una pressione tributaria che dal 1636 ha interessato soprattutto prodotti di base del commercio napoletano come l'olio di esportazione e la seta di Calabria, diritti commerciali come pesi e misure, generi di consumo come farina, sale, vino. L'aumento del contributo fiscale era creato unicamente per ampliare il debito pubblico e determinava un'impasse senza vie d'uscita per le finanze napoletane. Il debito pubblico si gonfiava in una fase di grave depressione dell'attività produttiva. E l'incontrollato aumento esercitava un'azione inflazionistica che si rifletteva in un danno irreparabile della non molta ricchezza mobiliare che il Regno riusciva ad alimentare. In tutte le province meridionali la caduta verticale di produzione e redditi si accompagnava ad una violenta intensificazione di usi e abusi feudali e ad una più accentuata pressione giurisdizionale del baronaggio che hanno indotto alcuni storici a parlare di un vero processo di "rifeudalizzazione" (R. Villari). Infine la monarchia spagnola, con i suoi viceré e ministri, presentava la versione più conservatrice del compromesso storico col baronaggio feudale e con la potente nobiltà titolata della capitale, a cui erano concessi spazi di potere economico e sociale ancor più ampi rispetto al passato. Le premesse di una rivolta c'erano proprio tutte.

Per dieci giorni, dal 7 al 16 luglio 1647, Masaniello fu il protagonista indiscusso di una rivolta urbana di vaste proporzioni, che ebbe nella capitale del Regno il suo punto di partenza e il suo centro di svolgimento. Napoli, la più grande metropoli europea dopo Parigi, con una concentrazione demografica di poco più o poco meno di 300 mila abitanti, era l'unica città del Regno dotata di importanti funzioni urbane in una realtà come quella meridionale, caratterizzata dalla pratica assenza di città medie e da una rete diffusa di piccoli centri senza soluzione di continuità con la campagna. La capitale era la sede della corte vicereale, della pubblica amministrazione, della formazione e dello sviluppo delle professioni "civili" (forensi, magistrati). Era il centro economico del paese, più mercato di consumo delle risorse regnicole che luogo di sviluppo produttivo, fattore di squilibrio del rapporto tra popolazione e risorse. Era un soggetto-città che proprio in quanto capitale godeva di un sistema di immunità di privilegi fiscali, di "grazie" concesse al "fedelissimo Suo Popolo", di una notevole autonomia politica, fondamento costituzionale del rapporto con i suoi sovrani che, grazie a questo sistema di concessioni e al riconoscimento di un asse privilegiato monarchia-capitale, avevano costruito l'egemonia spagnola nel Mezzogiorno. Napoli era la rappresentazione dell'intero Regno, alfa e omega, principio e fine di ogni suo sviluppo storico. Ma la metropoli partenopea era anche un insieme ricchissimo e assai variegato di gruppi artigiani più o meno qualificati o specializzati, che contribuivano non poco a segnare il volto complessivo della città. Infine le più importanti e meglio organizzate strutture dell'assistenza pubblica e privata, organismi che per buona parte dell'antico regime furono insieme ospedali, opere pie, luoghi di contenimento della povertà endemica, primi strumenti di controllo sociale, erano concentrate nella capitale. Ai due antipodi, la nobiltà titolata che nei primi decenni del Seicento si era trasferita nella capitale dove vi aveva edificato le sue lussuosissime dimore, e la plebe numerosissima,[...].

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